Daniele Giunta, Alberta Pellacani e Silvano Tessarollo sono i protagonisti della mostra Rebirthing, un percorso intenso, attraverso alcuni dei luoghi più intimi, sfuggenti e intangibili dell’esistenza. Alla galleria La Giarina di Verona.

Testo di Luigi Meneghelli

 

“Dimmi quando tornerò a vivere / dimmi quando ti respirerò”. Così cantavano gli Skillet, un gruppo rock di Memphis, nel 2006. E il titolo della canzone era proprio Rebirthing, come quello dato alla mostra alla Galleria La Giarina. Ri-nascere, riscoprire l’arte del respiro, la voce del silenzio, il lato nascosto delle cose. È fare esperienza del mondo, esserne di continuo attraversati. Affermare una pratica che va ben oltre il noto verbo di Descartes: “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque sono): e cioè “Sento, dunque sono”. È sostenere che la condizione umana non è solo spirituale, ma anche corporea. Perchè il corpo è profusione del sensibile; è inscritto nel movimento delle cose e si mescola a esse con tutti i suoi sensi. Non si può dividere con un taglio netto soggetto e oggetto, interno ed esterno. Noi non guardiamo da fuori, ma da dentro. È vero: è la vista che (soprattutto oggi) proietta l’uomo nel mondo, ma lo mette a contatto solo con la sua superficie. Gli permette di riconoscere le cose, ma non di conoscerle, di interpretarle, di viverle. La vista ha bisogno di tutti i sensi per esercitarsi nella sua pienezza. “Vedo con occhio che sente, sento con mano che vede”, ha scritto Goethe in “Elegie romane”. Come chiamare questo sopravanzamento o sconfinamento sensoriale? Palpazione oculare o occhio aptico? In fondo, si tocca con gli occhi come i ciechi vedono con le mani.

 

In ordine: Alberta Pellacani, Silvano Tessarollo, veduta della mostra. Courtesy La Giarina, Verona

Ebbene, gli interventi dei tre artisti invitati a Rebirthing (Alberta Pellacani, Carpi, 1964; Silvano Tessarollo, Bassano del Grappa, 1956; Daniele Giunta, Lago Maggiore, 1981) testimoniano una sorta di brama esplorativa, di bisogno di immersione desiderante nella materia del mondo. Pellacani con i suoi Palinsesti (di Mantova, di Venezia) sembra rivisitare la storia delle città, creando una visionaria geografia fatta di consistenze fittizie, echi, spessori d’aria. Impiegando una sorta di superficie specchiante “filma” il mondo che ci circonda e lo porta a sciogliersi e a ricomporsi, come in un sogno ad occhi aperti. Il suo è uno sguardo che conosce la misura del non finito, anzi dell’indefinito, di ciò che è sospeso, cangiante, metaforico (come in Changing) o al limite della visibilità (come in alcuni disegni appena abbozzati e percepibili solo al buio). L’operazione di Tessarollo invece dà l’idea di un ritorno a una naturalità pura, come quella auspicata da Lévi-Strauss o dagli scritti di Pasolini. Egli vuole far avvertire l’architettura segreta sottesa a elementi come alberi, rami, campi di grano. Gli interessa la scoperta, la presentazione, l’insurrezione del valore magico e meravigliante delle materie viventi, come la terra, la cera, la paglia. Fino a realizzare un grande telero (Sine sole sileo, 2017), dove sparge sulla superficie polvere di torba, come fosse una metaforica semina, capace di unire terra e cielo, profondità e altezza.

 

In ordine: Palinsesto Urbano NY II 04, 2018, stampa digitale, 62,5x86,5 cm ciascuno;
Silvano Tessarollo, Sine Sole Sileo, 2017, terra e fango su carta, telaio in legno, 210x300 cm. Courtesy La Giarina, Verona

Giunta, infine, arriva ad abbandonare ogni cosa (naturale o artificiale che sia): si trasferisce perfino nel Verbano (VCO), dove il mondo non è quasi più mondo, ma un luogo in cui perdersi, “uno spazio infinito” in cui è necessaria “un’attenzione altra” (come dice lo stesso artista). Lì, “l’arte diviene una sorta di condizione sperimentale in cui si sperimenta il vivere” (J.Cage): lì si è disponibili a tutti i fatti della vita: al passare del tempo, al costruirsi una casa, all’accendersi un fuoco, al praticare l’apicoltura (come Giunta ci mostra nel video Build from Flowers, 2017). A contare è proprio il mistero dell’essere (e dell’esistere), l’edificio della creazione, il tempio del mondo.

Ovvio che la Galleria più che un semplice spazio espositivo, divenga una dimensione di esperienza, arte, lavoro, amore. Senza prodursi in proclami ideologici o in discorsi legati all’ecologia, gli artisti intendono farci sentire, conoscere, gustare il sapere-sapore di un’esistenza creativa. Il loro è un viaggio iniziatico all’origine delle cose. È un immergersi nel loro segreto, un “rebirthing”, un rinascere e dimorare in esse.

(Estratto dell'intervista tra l'artista e Marco Arrigoni, pubblicata su ATP Diary il 21 febbraio 2017).

  

Daniele Giunta, Arnia Warré esagonale, 2018; Build from flowers, 2017, still da video, 19'38''. Courtesy La Giarina, Verona

 

 

REBIRTHING
Daniele Giunta, Alberta pellacani, Silvano Tessarollo
A cura di Luigi Meneghelli
La Giarina, Verona
Fino al 28.04.18