Arte come cura dello spirito

Testo di Andrea Lerda

 

Se esiste una forma di preghiera che ha come tramite l’arte, l’opera di Wolfgang Laib può essere considerata la più sincera e intima delle preghiere. Il lavoro dell’artista tedesco è forse l’espressione più autentica di un sublime contemporaneo che, a bassa voce, sussurra al nostro orecchio quanto di più potente esiste nei ritmi lenti e invisibili delle forze della natura.

 

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In ordine: Wolfgang Laib, The Cobra Snakes are coming out of the Well at Night, vedute parziali della mostra, settembre 2008, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli; W.L., Vogliamo partire, partial view of the exhibition, dicembre 1998, Galleria Alfonso Artiaco, Pozzuoli; W.L., The Cobra Snakes are coming out of the Well at Night, vedute parziali della mostra, settembre 2008, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli

Ho incontrato Wolfgang Laib quest’estate, nella sua abitazione natale, a Metzingen, in Germania. Un pomeriggio estremamente piacevole, all’interno del suo studio, immerso tra il verde dei prati, il profumo dei fiori di campo e della terra umida. Seduto a terra, di fianco ad alcuni lavori esposti, ho compreso immediatamente più di quanto potessi sapere sulla sua ricerca artistica. L’esperienza effimera di percepire e vivere il tempo secondo dopo secondo è resa possibile grazie a una ritualità lenta, che sembra provenire da una dimensione sconosciuta.
Wolfgang Laib trova la spiritualità necessaria nella semplicità di ogni giorno, nella materia organica e naturale che lo circonda: il miele, il polline, la cera d’api, il riso. Non è difficile comprendere questo aspetto passeggiando con lui tra i boschi che circondano la sua abitazione. Il sentiero diventa il luogo dove si realizza quel cammino intimo all’interno di una natura portatrice di valori ed energie che l’artista trasferisce nei suoi lavori. Qui trova il polline necessario per le sue installazioni, la serenità per lavorare un materiale prezioso e sacro come il riso e il contatto ancestrale con le profondità misteriose dei ritmi organici che ritroviamo in tutte le sue opere.
La semplicità delle forme, dei colori e dei materiali utilizzati cela così significati molto più profondi e complessi, il vuoto e il pieno coesistono all’interno di opere estremamente poetiche, dal potere evocativo e comunicativo.

 

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Wolfgang Laib, veduta parziale della mostra, ottobre 2016, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, foto: Luciano Romano

Wolfgang Laib è tornato recentemente ad esporre in Italia, nella sua quarta personale presso la Galleria Alfonso Artiaco di Napoli, dove ha presentato 12 nuovi pensati in stretta relazione con lo spazio di Piazzetta Nilo. Anche in questo caso sono stati esposti i materiali tipici della sua ricerca, tra questi le barchette d’ottone, posate su piccoli cumuli di riso, che evocano alla mente l’idea del viaggio verso un altro mondo, eco di attributi meditativi delle stesse ziggurat, figure architettoniche ed archetipiche che l’artista rilegge e ricrea utilizzando la cera d’api. Strutture a gradini che, come per le barche, costituiscono l’invito ad attraversare i confini di un mondo puramente tangibile verso uno più alto livello di comprensione spirituale dell’universo.
Le ziggurat riflettono inoltre l’interesse dell’artista per le abitazioni e le sfere spirituali della cultura Medio Orientale e dell’Asia meridionale.

 

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Wolfgang Laib, veduta parziale della mostra, ottobre 2016, Galleria Alfonso Artiaco, Napoli, foto: Luciano Romano

In quest’ultima mostra a Napoli, Laib ha inoltre presentato alcuni lavori su carta, nei quali la possibilità di intravedere la traccia del disegno è intrinsecamente legata al modo in cui la luce si riflette sul lavoro. Il risultato che ne consegue è una sensazione di potente vuoto, gravido di risonanza spirituale. In mostra anche due “case” in marmo bianco, circondate dal riso, nelle quali il carattere minimalista non va letto nel senso stretto del termine, piuttosto inteso nella visione buddista di “eterno ritorno”.
L’artista ha poi presentato un lavoro realizzato con il polline, forse il materiale più emblematico e rappresentativo della sua ricerca.
L’artista ha più volte dichiarato che “il polline è il potenziale inizio della vita della pianta. Così bello, semplice e complesso allo stesso tempo. E naturalmente portatore di moltissimi significati”. Il polline diventa quindi simbolo, dettaglio d’infinito, elemento e opera stessa senza tempo. L’intervento napoletano si è poi concluso con una grande installazione realizzata con i classici “mucchietti” di riso. Qui l’intenzione ricercata è quella di produrre una calma composta, un pacifico “disimpegno” tra l’opera e lo spettatore, dove quest’ultimo può sperimentare una sospensione della realtà in cui la spiritualità è inclusa nella materialità stessa del lavoro.