GLI OCCHI DEGLI ALBERI

La Project Wall del Mart, come ultimo appuntamento legato alla serie di progetti nati attorno al tema del paesaggio, sceglie Luca Andreoni.
Il soggetto, che i curatori della rassegna hanno deciso di porre in comunicazione con le mostre ospitate nel museo, è l'albero.

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Luca Andreoni, Alberi, 2011, veduta dell'installazione presso il Mart. Courtesy l'artista e Galleria Viasaterna. Foto: Eleonora Bertani.

Luca Andreoni è uno dei principali fotografi italiani che ha ereditato e portato avanti la ricerca attorno al tema del paesaggio, su cui i grandi maestri italiani hanno lavorato a partire dal fortunato clima culturale degli anni Ottanta e Novanta (Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Guido Guidi, Mimmo Jodice e altri ancora). Nasce a Sesto San Giovanni, città connotata da una forte tradizione industriale e collocata ai bordi di Milano. Tuttavia, la passione per la montagna e per la natura sembrano essere scritti nel DNA dell'artista, che fin da piccolo, certamente influenzato dall'amore paterno per l'alpinismo, ha frequentato assiduamente le alte quote.
Questa premessa, sembra svelare l'influenza che il suo lavoro ha avuto da parte della fotografia di paesaggio americana, quella di Robert Adams, Lewis Baltz e Stephen Shore.
Le fotografie presentate al Mart (una piccola parte dell'intero progetto fotografico), prodotte ed esposte per la prima volta, appartengono alla serie Alberi, uno degli ultimi step di un'attenta e sincera ricerca fotografica attorno ai luoghi della natura.
E' importante sottolineare che questo lavoro non è nato come momento di richiamo nostalgico al contesto naturale. Esso si lega ai viaggi in auto che per anni l'artista ha compiuto per andare a fare visita ad un amico pittore.

'Dovevo attraversare la pianura a sud di Milano per andarci, giù per il pavese, fino ai bordi dell'Appennino e in quei viaggi c'erano molti incontri con alberi maestosi, e poi con boschi e così via. Tutti inseriti in un paesaggio molto antropizzato, un contrasto che li rende un po' alieni e un po' fuori tempo, perché arrivano da tempi diversi e spesso molto lontani.'

 

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Luca Andreoni, Alberi, 2011. Courtesy l'artista e Galleria Viasaterna.


In conversazione con Luca Andreoni:

Caro Luca,
osservando le fotografie della tua serie 'Alberi', mi trovo di fronte a presenze imponenti, i dettagli dei loro tronchi, delle loro cortecce, i colori delle muffe che le ricoprono, delle presenze organiche che le popolano.
Le forme della natura sembrano provocatorie, molto sicure di sé, della loro importanza e del potere che racchiudono. Sembrano presenze misteriose, rigogliose ma allo stesso tempo silenti.
Percepisco un sentimento evocativo rispetto alla condizione umana e al suo cammino solitario verso l'ignoto. La caducità di cui parla Rainer Maria Rilke (negli 'Appunti sulla melodia delle cose') e dalla quale prende spunto la tua serie 'In The Darkness' è emblematica di quanto essi trasmettono allo spettatore.

Andrea Lerda
Cosa ti affascina degli alberi?
Luca Andreoni
Che sono esseri viventi. Noi non sembriamo renderci conto a sufficienza di questo. In alcuni casi sono esseri viventi che resistono da secoli ma nemmeno quello sembra darci l'occasione di pensarci un po' seriamente.
Ho provato a lavorare immaginando di essere un esploratore che incontra misteriosi esemplari degli esseri viventi su pianeti lontani. È difficile porsi in questo stato mentale, ma anche solo il provarci apre delle porte inaspettate. Gli alberi sono misteriosi, vivono ma non possiamo avere con loro alcun tipo di comunicazione reale - questo tipo di mistero mi affascina. Non ha nulla di religioso o di mistico - esiste di per sé, è nelle pieghe stesse della cosiddetta realtà.

A.L.

Che cosa rappresenta per te il mondo naturale e qual è la relazione con noi esseri umani?
L.A.
Gli esseri umani, pur essendo natura essi stessi, hanno una relazione difficile con quello che chiamano natura. La mia impressione è che la natura venga solo usata dagli uomini, più che altro in due modi: o sfruttandola brutalmente (ad esempio tagliando alberi per farne legno che usiamo in molti modi) oppure a scopo decorativo (i fiori sul tavolo, gli alberi nei giardini...). Non c'è quasi nulla che si possa definire un tentativo di capire, di ascoltare, di rispettare. Forse esagero! So bene che alcuni dedicano la loro vita allo studio e all'attenzione verso la natura: ma sono pochi, pochissimi. Siamo distratti e sempre molto occupati a parlare di noi, a pensare alla nostra sopravvivenza e questo crea alcune distorsioni.
Viene sempre da dire che abbiamo perduto qualcosa, che in tempi lontani e lontanissimi abbiamo avuto più contatto, e dunque più rispetto e attenzione, per il mondo naturale nel quale siamo immersi. Io non posso sapere se sia così - e devo dire che non ci credo molto. Non sono sicuro che in epoche lontane l'uomo fosse davvero più vicino interiormente agli elementi naturali. L'uomo è un animale aggressivo e sfruttatore - non saremmo arrivati a questo punto se non lo fossimo sempre stati - dunque credo che vagheggiare lontane simbiosi con la natura sia solo consolatorio e poco realista. Mi piace piuttosto pensare che forse un giorno, in un lontano futuro, avremo il modo di capire, di modulare un poco l'istinto predatorio che ci anima.
Aggiungo che non credo che la natura si possa rivestire degli aggettivi umani che le attribuiamo (dolce, terribile, matrigna, vendicativa, feroce, appagante e quant'altro). La natura è indifferente. Lo è sia quando ci dona cose per noi meravigliose così come quando spezza ogni nostra velleità con le manifestazioni della sua potenza. Questa indifferenza è vertiginosa, e per noi terribile - forse è la cosa che temiamo più di tutto, e per questo forse la combattiamo così ferocemente.

 

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Luca Andreoni, Alberi, 2011. Courtesy l'artista e Galleria Viasaterna.

A.L.
Quali aspetti formali vuoi sottolineare con le tue fotografie?
L.A.
Non cerco particolari aspetti formali. La forma è parte del mistero che questi esseri portano con sé. Le immagini portano con sé, ovviamente, le tracce storiche della tradizione del loro uso decorativo - ma io non cerco quello: io cerco di produrre macchine per pensare. Ai miei studenti dico sempre che le immagini, per essere importanti, debbono essere composte di molti strati di senso. A partire dalla loro superficie dovrebbe essere possibile, per chi vi si sofferma, scavare e così trovare man mano delle riserve di pensiero, di sensazioni, di istruzioni segrete, di intuizioni che possano aiutare, che possano lasciare qualcosa a chi guarda, insomma essere utili.


A.L.
Dove vuoi portare lo spettatore con questi lavori?
L.A.
Io non porto nessuno. Non credo che l'arte debba prendere per mano e condurre lo 'spettatore'. Questo è quello che fanno le forme espressive commerciali (ad esempio, spesso, il cinema) ma i compiti dell'arte sono altri. Io cerco con i miei lavori di essere utile a stimolare le facoltà di pensiero di ognuno, che possono derivare da uno stato di contemplazione, di osservazione lenta ma inesorabile, in profondità, della realtà. La fotografia è un buon tramite per questo, perché la gran parte delle persone è ancora convinta che la fotografia rappresenti la realtà - non è così, però questo mi è utile, perché in questo modo, con la fotografia, le persone si sentono più libere di essere se stesse, in qualche modo saltando la presenza a volte ingombrante dell'autore e potendo così giungere più liberamente a una propria lettura personale di quello che hanno davanti. Anche per questo ho sempre usato uno 'stile documentario', come lo definiva Walker Evans, scevro dalle manipolazioni oggi così semplici da praticare. In realtà la zampa dell'autore è sempre presente, non si tratta di documenti letterali, ma lo sembrano. Ad esempio per le fotografie esposte al Mart ho utilizzato una tecnica tipica della macrofotografia digitale, il phocus stacking, che consiste nel 'sezionare' come con una lama i vari piani di fuoco dell'oggetto, per poi riunirli via software ottenendo così quello che procurava notti insonni ad Edward Weston: la messa a fuoco totale; tutto diventa terribilmente nitido, tutto e su ogni piano di fuoco. Quello che mi interessa è che anche quando tutto è mostruosamente a fuoco (grazie a scatti ad altissima risoluzione con un dorso digitale e grazie a queste tecniche) il mistero rimane - anzi la mia impressione è che aumenti. Realismo totale e mistero totale: è tutto a posto.

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Luca Andreoni, Alberi, 2011. Courtesy l'artista e Galleria Viasaterna. (Le due fotografie riprodotte qui sopra, appartenenti alla serie Alberi, non rientrano nelle opere presentate all'interno della Project Wall del Mart).


LUCA ANDREONI
Project Wall / Mart
a cura di Veronica Caccioli e Denis Isaia
fino all'8 febbraio 2015