Natura è sopravvivenza

Testo di Nicola Ricciardi

 

Artemisia, stramonio, sorghetta e papavero. Avanti popolo delle erbacce, proletariato del mondo vegetale, rovesciate il trono delle specie orticolturali più raffinate, decapitate gli ibridi ipercivilizzati. Partite lancia in resta e destituite la rosa, regina del giardino. Sono con voi i Romantici e i poeti, Emerson e Thoreau. Già canta Gerard Hopkins, “vivano sempre le erbe, le selve selvagge!” Ma ecco che pronta giunge la mano del giardiniere—creatore, guardiano e giudice dei paesaggi artificiali—e subito la rivolta è sedata. Un colpo di vanga alla radice e gli infestanti sono estirpati. Ogni giardino affidato alle cure dell’uomo è un golpe mancato, una rivoluzione fallita.


Non questa volta, non nella recente mostra realizzata da Francesco Simeti presso la Galleria Francesca Minini di Milano (Armed, Barbed and Halberd-Shaped, a cura di Nicola Ricciardi, maggio-luglio 2016). Nel giardino disegnato da Francesco Simeti non c’è posto per le rose: su questo campo di battaglia vincono piuttosto l’amaranto e l’ortica, la bardana e la morella. Lontana è la vagheggiata utopia Occidentale di spazi verdi ammansiti e sempre in fiore, dove gli insetti non mordono e le foglie non pungono. Il paesaggio immaginato da Simeti non segue la rassicurante ripetitività delle aiuole, l’ordine gerarchico degli orti botanici, il rigore geometrico dei campi arati: l’ispirazione non viene dagli idilli floreali di Monet ma piuttosto dalle terre paludose, dai prati incolti e dai terreni trascurati dall’uomo dipinti da Charles Burchfield.

 

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura2

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura7

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura8

Armed, Barbed and Halberd-Shaped, 2016. Veduta dell'installazione presso Francesca Minini, Milano. Courtesy l'artista e Galleria Francesca Minini, Milano


Le piante di Simeti crescono sui plinti, sbucano come lame dal cemento, si arrampicano sui muri fino a ricoprire pareti intere. La loro vitalità, irruenza e autonomia è celebrata; eppure allo stesso tempo appare negata: la materia di cui sono fatte è inorganica, la loro forma scolpita da quelle stesse mani che sono solite temere, quelle degli uomini. In questa palude-giardino, dove anche la bruma è un manufatto umano, la fotosintesi ha lasciato il posto alla fusione a cera persa, alla cottura ceramica. Il confine tra natura e cultura evapora come nebbia, tutto è selvatico e tutto è artigianale.
Ecco allora la prima intuizione: questi fiori di bronzo, queste foglie di argilla, questi arbusti di tela materializzano l’impossibilità di immaginare la natura selvaggia al netto della natura umana: dalla riduzione della biodiversità al mutamento del clima, l’ecosistema è già di per sè un prodotto antropico. Una forma di giardinaggio è ormai ritenuta inevitabile anche nelle oasi e nelle riserve, in quei luoghi che vorremmo preservare a monumenti della nostra assenza. Simeti tuttavia non si limita a indicarci questo paradosso ma, scolpendo le sue erbacce come alabarde, elmi, scudi, ci pone davanti a una seconda verità: per quanto siamo convinti che la sopravvivenza della natura dipenda esclusivamente da noi, la natura ha dimostrato di essere in grado di difendersi bene anche da sola. Per ogni strattone che l’uomo ha dato alla biosfera, le piante hanno sempre risposto affilando le armi, facendosi più agili e versatili, attrezzandosi per meglio resistere al nostro impatto. Cosa sono le infestanti se non la dimostrazione empirica della capacità degli organismi vegetali di sopravviverci? Che l’uomo possa adattarsi ai cambiamenti determinati dalle sue stesse azioni è invece ancora tutto da dimostrare. E dunque, chi è più fragile e chi è più disarmato— sembra chiederci Simeti—chi ha più bisogno di essere difeso: noi o loro?

 

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura5

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura4

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura

In ordine: Armed, Barbed and Halberd-Shaped, 2016. Veduta dell'installazione presso Francesca Minini, Milano; The wilds VI, 2015, Sodafire e smalti per ceramica, 41 x 30 x 30 cm; The wilds V, 2016, woodfire ceramic, 38 x 20 x 21 Courtesy l'artista e Galleria Francesca Minini, Milano


In conversazione con Francesco Simeti

Andrea Lerda
Dal tuo ultimo progetto Armed, Barbed and Halberd-Shaped, che ha recentemente presentato da Francesca Minini, a Milano, mi sembra di capire che dichiari l’inscindibilità tra l’uomo e la natura, identificandoli come un tutt’uno. Credo personalmente che la cosa sia oggettiva, nonostante i due mondi (che appunto non esistono) sembrino così distanti tra loro e nonostante le letture a riguardo siano da secoli discordanti. Ma secondo questo tuo approccio, come giustifichi il rapporto impari che esiste tra i due? Come e dove collochi il senso di responsabilità?
Francesco Simeti
Il grosso problema è che in realtà questo aspetto non è per nulla scontato e l’uomo si comporta invece quotidianamente come se la sua presenza sia scissa da quella della natura. Gran parte delle persone non è consapevole di come e quanto le proprie azioni siano strettamente legate al mondo naturale del quale fanno parte. L’azione dell’essere umano sull’ambiente è sempre e comunque un’azione su se stesso.
Strategicamente, sarebbe forse più importante riflettere sul fatto che stiamo distruggendo noi stessi. Questo aspetto potrebbe sembrare un cavillo, però noi continuiamo ad associare i problemi ecologici ad immagini spot come la scomparsa dell’orso bianco, delle api, e via dicendo, senza pensare a cosa potrebbe accadere a noi in quanto specie umana.

A.L.
Il tuo lavoro è legato in maniera importante alla dimensione vegetale e naturale, non necessariamente secondo accezioni ambientaliste o ecologiche. Qual’è la ragione di questa ricerca? E quale pensi che sia la motivazione di questa necessità da parte dell’uomo di un dialogo costante con ciò che non gli è dato comprendere?
F.S.
L’aspetto ecologico non è necessariamente quello predominante ma certamente costituisce una parte importante. Non mi interessa presentare questo tema secondo una lettura pessimistica o sfruttando l’estetica del disastro; la natura che ritraggo non è mai apertamente devastata, pur celando al suo interno elementi e rimandi molto significativi da un punto di riflessione eco critica. Infatti, entrando nel lavoro ed osservando attentamente, è possibile notare come evidentemente qualcosa non funziona, alcuni alberi sono ormai privi di vita, altri oppressi e in procinto di morire.
Penso che la natura abbia la capacità di rinascere sempre e comunque e di prendere il sopravvento, tuttavia, se continuiamo in questo modo, renderemo questo pianeta totalmente inospitale a noi stessi.
All’interno di questa situazione, l’arte ha certamente la capacità di diffondere messaggi educativi, io stesso, con il mio lavoro, voglio piantare dei semi che costituiscano l’occasione di crescita per una maggiore consapevolezza futura.

 

francesco simeti artista mostra francesca minini fiori
			piante natura1

In ordine: Billows V, 2015, ceramica, dimensione variabile; Black reef I, 2016, ceramica, 56 x 23 x 13 cm. Courtesy l'artista e Galleria Francesca Minini, Milano