Architetture naturali

 

Platform Green presenta la programmazione espositiva del Kust Merano Arte. Dopo l'americana Helen Mirra è la volta dell'italiano Gianni Pettena, nato a Bolzano e generazione 1940.

il testo è di Christiane Rekade

 

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Gianni Pettena, Paessaggi della memoria (Otranto), 1987. Veduta della mostra. Foto Ivo Corrá. Courtesy Fondazione Museion


“Voglio vedere le mie montagne!” è la frase che Giovanni Segantini (1858-1899) avrebbe detto sul letto di morte. Per Segantini, che era nato ad Arco in Trentino, località che al tempo apparteneva ancora all’Impero austro-ungarico, e fu apolide per tutta la vita, le montagne erano al contempo patria e soggetto della sua pittura. Anche la ricerca e la pratica artistica di Gianni Pettena sono influenzate fortemente dal paesaggio montano dell’Alto Adige.  Nonostante Pettena, che è nato a Bolzano, non viva più in Alto Adige dalla giovinezza, in un certo senso porta sempre con sé quel paesaggio. Così avviene ad esempio con le sagome delle montagne in plexiglas trasparente comodamente trasportabili in una valigia progettata appositamente e combinabili a piacere per formare i Paesaggi della memoria (1987). Nell’opera realizzata in origine per una mostra a Otranto (1), Pettena ha unito gli elementi del paesaggio montano dei suoi ricordi e l’ambiente mediterraneo della città che ha ospitato l’esposizione affermando: “Voglio vedere le mie montagne”. Sdraiato sulla sabbia del Mediterraneo l’artista può vedere i massicci montuosi anche dall’altra estremità dell’Italia o da qualsiasi luogo nel mondo.

Con Architetture naturali Merano Arte dedica a Gianni Pettena una mostra incentrata sul rapporto dell’artista con il paesaggio natio e sull’influenza che questo esercita sulla sua pratica artistica. Una selezione di lavori e installazioni degli anni Settanta nonché di opere di periodi successivi e di nuova realizzazione, racconta i modi differenti attraverso i quali il paesaggio altoatesino e in particolare le montagne influenzano la percezione e il pensiero di Pettena, riemergendo continuamente in forme diverse all’interno dei suoi lavori

La produzione di Gianni Pettena è ampia e poliedrica. Con la sua attività l’artista scandaglia e dissolve i confini tra architettura, design e arte. Pettena è artista, ma anche teorico, curatore di esposizioni e docente, è cofondatore – insieme a Archizoom, Superstudio e Ufo in Italia e Hans Hollein e Walter Pichler in Austria – nonché uno dei maggiori rappresentanti del movimento dell’architettura radicale, che nel corso degli anni Sessanta iniziò a ripensare l’architettura. I promotori dell’architettura radicale contrapponevano nuove idee utopiche e d’avanguardia alla visione funzionalista e razionalista diffusa allora in architettura e il loro linguaggio formale si orientava maggiormente all’arte contemporanea, alla musica, alla cultura pop e alla vita urbana che non ai parametri architettonici allora in voga. Nacquero così happening, collage e interventi nello spazio pubblico, intesi come ricerca architettonica.

 

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Gianni Pettena, Human Wall, 2012/2017, Veduta della mostra. Foto Ivo Corrà. Courtesy l'artista


Diversamente da gran parte degli altri “architetti radicali” Pettena scelse l’arte quale propria forma espressiva. L’architettura è tuttavia sempre parte non solo dei suoi lavori, ma anche dell’attività di teorico e curatore. Nel 1971, dopo gli studi a Firenze, Pettena si trasferì a Minneapolis (USA) quale artist in residence al College of Art and Design. L’anno successivo insegnò in qualità di docente a contratto all’Università dello Utah a Salt Lake City (USA). Il periodo negli Stati Uniti, in particolare quello a Salt Lake City, l’esperienza del paesaggio ma anche il confronto con la land art, l’amicizia con artisti quali Robert Smithson, Gordon Matta-Clark e altri, furono essenziali per lo sviluppo della sua produzione artistica. Nel 1973 l’artista tornò in Italia, dove fu nominato professore all’Università di Firenze. Oltre ad essere ospitato come docente a contratto in diverse altre università in Italia e all’estero, no al 2008 ha tenuto la cattedra di Storia dell’Architettura Contemporanea all’Università di Firenze.

Tra i lavori creati negli Stati Uniti compare anche la serie fotografica About non-conscious architecture (1972-73), che riflette la convinzione di Pettena (influenzata dal pensiero dei Nativi americani) che qualsiasi architettura sia presente già in Natura. La serie si compone di una raccolta di fotogra e in bianco e nero scattate dall’artista durante i suoi viaggi che ritrae valli, rocce, montagne e deserti, ma anche le forme geometriche di una miniera di rame e strade che si snodano in lontananza. Definite come “inconsce”, riconosciute nella natura dai Nativi, vengono riscoperte da Pettena nelle semplici geometrie anche della cultura successiva. Soprattutto nelle foto delle rocce e delle montagne sono inconfondibili i paralleli formali con i paesaggi montani dell’Alto Adige.

Nel periodo a Minneapolis e Salt Lake City realizzò molti lavori in forma di performance o interventi nello spazio pubblico e nel paesaggio, come ad esempio Paper / Midwestern Ocean (1971), progetto che può essere considerato il precursore dell’installazione ideata da Pettena per Merano Arte. Per il progetto Paper / Midwestern Ocean l’artista fece appendere delle strisce di carta nella sala del College of Arts and Design di Minneapolis in cui avrebbe tenuto una conferenza. Gli studenti dovettero farsi strada nella “foresta di carta” tagliando le strisce fino al centro della sala, dove l’artista tenne la conferenza. A Merano il progetto Paper (2017) si inserisce nelle caratteristiche architettoniche dello spazio espositivo, enfatizzando l’orientamento verticale dell’atrio e dirigendo l’attenzione del visitatore verso gli aspetti apparentemente invisibili dell’architettura, rendendone visibili i movimenti delicati e leggeri, ma enfatizzando anche il moto dei visitatori tra le sale. Con la stessa delicatezza anche l’installazione Breathing Wall (1999) indirizza l’attenzione sulla presenza dell’architettura. Cosa succede quando le nostre pareti cominciano a respirare e l’architettura si libera dalle sue strutture immobili rendendo visibilli le storie dietro le superfci intonacate?

 

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Gianni Pettena. Breathing Wall. Photo Ivo Corrá. Courtesy the artist


Un altro lavoro in mostra, le cui origini risalgono al soggiorno di Pettena a Salt Lake City è Human Wall (2012/2017). Nel 1972 l’artista, con l’aiuto di amici e studenti, ricoprì completamente di uno strato di argilla la casa di un professore suo amico, trasformando il tipico edificio a schiera dei sobborghi statunitensi in un’enorme scultura in argilla grigio scuro. In Clayhouse (1972) l’architettura è stata sottratta alla sua funzionalità e trasformata in forma pura. Con Human Wall (2012/ 2017) questa operazione viene trasferita nello spazio della mostra: l’argilla fresca applicata a mano si secca lentamente e le tracce, le impronte della mano chiaramente visibili nell’argilla umida, si dissolvono nella struttura dell’argilla che si secca. Con un gesto artistico semplice Pettena assume a soggetto della sua opera il contrasto o l’interazione tra l’architettura creata dall’uomo e la Natura, vale a dire l’argilla con la sua struttura viva e mutevole.

La Natura che sopravvive all’architettura umana no a farla scomparire è un tema ricorrente nei lavori di Pettena. Come le tracce dell’uomo si dissolvono in Human Wall così le architetture umane scompaiono con il tempo nella Natura nella serie di disegni Secoli e Millenni (2014), che Pettena ha realizzato dopo un intenso confronto con la sua città natale, Bolzano (2). Il monumento alla Vittoria della città, costruito nel 1919-20 quale simbolo provocatorio del fascismo, è ancora oggi oggetto di discussioni politiche. Per Gianni Pettena il monumento appartiene al proprio paesaggio della memoria. Se durante l’infanzia fu influenzato solo dagli elementi formali del monumento cittadino, a questo aspetto si è aggiunta più tardi la consapevolezza del suo significato storico e della sua dirompenza. La fiducia di Pettena nella potenza della Natura e la convinzione che questa sopravviva alle nostre città, ma anche ai conflitti, si manifesta nella serie di disegni in cui il controverso monumento si sgretola lentamente – insieme a tutte le costruzioni umane per dissolversi nel paesaggio.

Con Paesaggi della memoria Gianni Pettena conferisce mobilità alle “sue” montagne, che nella sua valigia sono pronte per essere ammirate in luoghi diversi e nei contesti più disparati. Con Atta Unsar (1973) l’artista mette in mostra un altro ricordo d’infanzia: lungo tutte le pareti sono scritte con caratteri neri le parole in antico alto tedesco del “Padre Nostro”, che da bambino fu costretto a imparare a memoria e ancora oggi riesce a recitare senza esitazioni. Nel progetto fa così rileggere queste parole ai visitatori in un nuovo contesto, nel tentativo di prendere le distanze da questo ricordo coatto, che ha però scarso esito perché come commenta l’autore: “Me lo ricordo ancora tutto”. Sembra dunque che le parole, come le forme e le strutture delle montagne, viaggino sempre con Pettena nella valigia dei ricordi.

 

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Gianni Pettena. Secoli e Millenni, 2014. (Detail) Courtesy Fondazione Museion. Prestito della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.


(1) Il ritorno dell’arte, Castello Aragonese, Otranto, giugno-luglio 1987.
(2) In conversazione con Pierr Bal-Blanc, che nel 2014 ha curato la mostra Soleil Politique – The museum between light and shadow al Museion di Bolzano.