Back to the Land

Testo di Andrea Lerda

 

La necessità di allontanarsi dai ritmi frenetici della realtà contemporanea, di ritrovare un rapporto paritario con l’ambiente naturale e di espandere la coscienza ecologica ed ecocritica non è di certo un tema recente. Già a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, in America, il movimento sociale “Back to the land” raccoglie attorno a sé un buon numero di sostenitori che promuovono uno stile di vita rurale, in antitesi a quello offerto dalla società tradizionale, malata e corrotta. Poco più di un secolo prima, nel 1845, Henry Thoreau, a ventotto anni, decideva di lasciare la sua città natale, per andare a vivere sulle rive del lago Walden, in una capanna da lui stesso costruita. Nella quiete dei boschi, Thoreau vuole marciare al suono di un “tamburo diverso”, riscoprendo la libertà di immergersi nei ritmi della natura. Vi rimarrà per oltre due anni.
Anche Hermann Hesse, nel suo libro Il canto degli alberi, nel 1919 compie un viaggio poetico all’interno di un luogo sacro chiamato “santuario”. I contributi bibliografici, riguardanti le filosofie dell’ambiente e della natura, che tra Ottocento e Novecento vengono pubblicati sono innumerevoli: dallo scritto Natura, del 1836, di Ralph Waldo Emerson, a L’origine della specie, di Charles Robert Darwin, del 1859, fino a Man and Nature, scritto nel 1864 da George Perkis March. Seguiranno poi la raccolta di saggi intitolata A Sand County Almanac, scritta nel 1949 da Aldo Leopold e Silent Spring, di Rachel Carson, pubblicato nel 1962. Ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo (1).

 

Back to the Land, veduta della mostra, Studio la Città, Verona. Foto Michele Alberto Sereni


Quale ruolo per l’arte all’interno di un dibattito ecologico?

Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, 
finché non ritornerai alla terra, 
perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai! 
(Gen 3,14-19)

L’interazione e l’integrazione della presenza umana con la terra, che su piani differenti vivono il medesimo habitat, è qualcosa che esiste da tempo immemore. 
Il degenerare degli equilibri che dovrebbero regolare tale rapporto, e che oggi appaiono come irrimediabilmente compromessi, prima ancora che nei Libri Sacri, sono stati oggetto di alcune emblematiche riflessioni da parte di Lucrezio, che nel I° secolo a.C., nel suo De Rerum Natura, pone le basi per una lettura critica di tale rapporto. Affermando che “nulla nasce dal nulla”, il filosofo greco riconosce quella che, a mio avviso, potrebbe essere identificata come la prima affermazione di consapevolezza dell’esistenza di una posizione antropocentrica (2). 

Ma ritornando ad un tempo più recente, nello stesso periodo in cui in America si diffonde il movimento sociale “Back to the land”, in Italia, questo senso di responsabilità ha trovato grande riscontro nel pensiero artistico e in quello intellettuale, in un dialogo stretto con una scena di grande fermento e cambiamento.

Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, intellettuale, artista visionario a tutto campo, ha saputo analizzare con grande coerenza la situazione politica, sociale ed economica di un Paese in trasformazione. Nel suo articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”, il I° Febbraio del 1975, dal titolo Il vuoto di potere, utilizza la scomparsa delle lucciole(3) come pretesto e metafora per parlare, anzi per urlare, la trasformazione radicale di una società scellerata, all’interno della quale, la classe politica stava operando scelte meramente volte al progresso tecnico ed economico incontrollato. Questa trasformazione radicale, brutale, forzata, oltre al benessere generale, portava con sé distruzione paesaggistica e urbanistica, inquinamento e devastazione ecologica, decadenza culturale e antropologica, l’esplodere della cultura di massa, l’omologazione degli stili di vita, la morte delle lucciole, quei “bagliori d’innocenza”(4) tanto delicati da rappresentare a pieno la fragilità degli equilibri naturali, incrinati dall’irrazionalità e dalla scellerata cecità del cinismo umano.

 

Andreco, Melting and Falling, 2016, wall painting, dimensioni ambientali. Foto Michele Alberto Sereni

Quest’immagine letteraria, sarà un punto fondamentale nella nascita dell’Arte Povera che, sviluppandosi durante gli anni Sessanta e Settanta, è la risposta ideologica a questa condizione di sradicamento violento che la società italiana sta vivendo. Una compagine di artisti italiani si va infatti formando sotto la comune necessità di assecondare una “scelta etica, tirandosi fuori dal vortice dinamico del progresso tecnico-scientifico e riflettendo sulle radici più profonde della propria esperienza artistica, travalicando i limiti contingenti di un’opposizione tradizione/modernità per attingere, invece, a dati più ancestrali e universali”(5). Questo movimento non nasce come esperienza di tutela dell’ambiente, non è interessato in maniera diretta alle questioni ecologiche, tuttavia, accogliendo prerogative e seguendo punti cardinali ben precisi, sarà in grado di svolgere un ruolo fondamentale e da protagonista nel processo di sensibilizzazione dell’arte e della società, in direzione di un’estetica “povera”, di “ritorno alle origini”, in un periodo storico caratterizzato da quel boom economico e dal “genocidio culturale”(6) raccontato appunto da Pier Paolo Pasolini(7).  Con il lavoro di Mario Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi prima e Gianfranco Baruchello, Ugo la Pietra, Giuliano Mauri e il gruppo 9999 poi, si pongono le basi per le ricerche successive in ambito ambientale. Ci sarà inoltre l’esperienza di Joseph Beuys in Italia e quella della Land Art americana che contribuiranno a rendere questo grande discorso ulteriormente articolato e carico di spunti critici. 

Questo grande fermento globale, che qui ho riassunto in maniera sintetica e necessariamente non esaustiva, è la reazione alla tradizione antropocentrica occidentale. Quella attuale è infatti l’era dell’Antropocene, che in maniera paradossale sembra essersi trasformata nell’epopea della natura, da proteggere, descrivere e ripensare. Come indica Serenella Iovino, una delle voci più autorevoli dell’ecocritica internazionale e Professore di Letterature Comparate all’Università di Torino, nonostante l’origine dell’Antropocene venga fatta risalire alla rivoluzione industriale, la consapevolezza concreta dell’esistenza di un cancro diffuso, e dello squilibrio tra le attività produttive dell’uomo e la carrying capacitiy della natura, arriva solo negli anni Sessanta del Novecento. Il 22 aprile 1970, data in cui si è tenuta la prima Giornata Mondiale della Terra, può dunque essere considerato come il teminus a quo per quanto riguarda la presa di coscienza sociale di un’esistenza reale della crisi ecologica.

A dire il vero, non sembrerebbe proprio che tutto il baccano fatto fino ad oggi dai media, dagli scienziati e dai ricercatori sia servito a qualcosa. E’ di pochi giorni fa l’ennesimo monito ufficiale dell’ONU, secondo cui “i gas serra hanno raggiunto i massimi livelli da 800mila anni a questa parte e se non verranno drasticamente ridotte le emissioni, i cambiamenti climatici impatteranno in maniera severa, globale e irreversibile sul nostro Pianeta”(8). 

 

Cristian Chironi. opere della serie Cutter e Data (Farfalle d'Italia), vedute dell'installazione nella mostra 

Questa mostra viene presentata dunque in un periodo molto particolare ed estremamente vitale per quanto riguarda il dibattito ecocritico. Una serie di coincidenze la inseriscono all’interno di un momento  significativo, che vede l’Italia protagonista della ricerca artistica proprio in campo ambientale.
Non possiamo infatti non tenere in considerazione alcune mostre museali significative che, nel corso degli ultimi due anni, hanno a mio avviso riacceso i riflettori in maniera evidente su questi temi: innanzitutto la programmazione del PAV, a Torino, a cura di Marco Scotini con le mostre La Tenda Verde (Das Grüne Zelt). Joseph Beuys e il concetto ampliato di ecologia, WILD ENERGIES: persone in movimento, ecologEAST. Arte e Natura al di là del Muro e Earthrise. Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (1967-73). Anche il MAN di Nuoro, grazie alla sensibilità di Lorenzo Giusti ha recentemente presentato i lavori di Michel Blazy, Roman Signer ed Ettore Favini, mentre il Mart ha realizzato la mostra Nature. Arte ed Ecologia presso la Galleria Civica di Trento.
Ancora a Torino, e forse non per caso, Carolyn Christov-Bakargiev ha deciso di inaugurare la propria attività con la mostra Organismi. Dall'Art Nouveau di Émile Gallé alla Bioarchitettura, la Fondazione Merz ha presentato Mario Merz. La natura è l’quilibrio e a Villa Panza di Biumo è andato in scena una magnifico omaggio a Meg Webster e Roxy Paine dal titolo Natura Naturans.

Il progetto espositivo Back to the Land, che Studio la Città ha deciso di sposare, non è dunque una semplice mostra, piuttosto, la tappa di un percorso virtuale che, a livello globale, ormai da tempo, chiama in causa l’arte contemporanea, quale strumento in grado di portare alla ribalta questioni ecologiche e di stimolare riflessioni ambientali; la testimonianza di un movimento “intestinale” di elaborazione e di analisi critica, forse in preparazione di un “Addio alla Natura”(9).

Senza voler costituire l’ennesimo momento di denuncia aperta e cercando di evitare un’atmosfera dai toni pessimistici e catastrofici, Back to the Land intende riflettere sul ruolo fondamentale del gesto umano, oltre che sulla necessità di un senso di responsabilità sempre più consapevole. 
Questo progetto, auspicando il raggiungimento del Terzo Paradiso, teorizzato nel 2003 da Michelangelo Pistoletto(10), e mantenendosi a debita distanza dall’ecologia radicale, trova un grande alleato teorico nel recente testo di Gilles Clément, dal titolo L’Alternativa Ambiente(11). 
Secondo lo scrittore e teorico francese, il grande fermento in ambito ecologico, che in maniera eterogenea si consuma a livello globale, non è altro che un’inevitabile ma indispensabile forma di “resistenza”, scaturita dal risveglio delle coscienze. 

Oggi, abitare il “giardino planetario” vuol dire riuscire ad applicare seriamente una politica di sopravvivenza dell’umanità sulla Terra, scendendo da un osservatorio costruito al di sopra della natura e sostituendolo con un punto di vista più immersivo. Il frenetico e confuso vociare, che compone l’Alternativa Ambiente, di cui parla Gilles Clément, auspica un cambiamento del modello di cupidigia, per giungere ad una nuova figura: quella dell’”Uomo simbiotico”. Per arrivare a questo traguardo è inevitabile un cambio di marcia, rifondando le basi della cultura generale, ed è proprio qui che l’arte vede riconosciuto il suo ruolo. Attraverso un linguaggio che parla una lingua universale, grazie alla sua capacità di sperimentare, raccontare, denunciare e anticipare il futuro, essa riveste infatti un posto di fondamentale importanza nel processo di slittamento d’interesse dai prodotti materiali verso quelli immateriali, che possa consentire di prendere seriamente in considerazione una gestione ecologica planetaria.

 

Julius Von Bismarck, Landscape Painting (Desert), 2015, video HD, 23'

La scelta degli artisti che hanno reso possibile questo importante progetto espositivo, e ai quali sono estremamente grato per un percorso fatto assieme, non è dunque casuale. Ognuno di loro, a vario titolo, conduce da tempo una ricerca particolarmente attenta e consapevole sul rapporto uomo-natura oltre che sulle implicazioni del gesto antropico. I lavori che ho deciso di includere in questa mostra sono dunque stati scelti secondo un criterio preciso, che ha voluto dare spazio a ricerche coerenti, privilegiando progetti articolati, realizzati a volte nel corso di un tempo medio lungo, attraverso l’impiego di medium differenti. 

Ingegnere ambientale di formazione e artista per vocazione, Andreco fonde queste due anime in un lavoro che poggia su basi scientifiche solide. Innalzamento continuo dei livelli di CO2 nell’atmosfera, inquinamento dei mari e dei suoli, cambiamenti climatici, cementificazione esasperata, scioglimento dei ghiacciai: l’“invasione” dell’uomo è per Andreco la causa principale dei danni ambientali. In occasione della mostra, l’artista ha realizzato un grande wall painting, che si inserisce all’interno del recente progetto Climate01, proposto a Parigi, in occasione del COP21 – Sustainable Innovation Forum 2015, e successivamente a Bologna, nel 2016. Una grande figura totemica, che trae ispirazione dalla materia naturale, dalla sua estetica minerale, netta, ma pur sempre inesatta, campeggia al centro della mostra. Grazie anche alla presenza del disegno, della scultura e del lavoro pittorico, l’intervento dell’artista diventa così una grande presenza evocativa che, in dialogo con un secondo intervento site specific, realizzato sulla facciata esterna della galleria, è in grado di accompagnare lo spettatore all’interno di un percorso di scoperta e di analisi delle problematiche ambientali attuali. 

Ciò che Cristian Chironi presenta è invece l’esito finale di un raffinato processo di “sottrazione”. Nel libri che appartengono alla serie Cutter, realizzata a partire dal 2010, l’artista ha infatti ritagliato, da atlanti geografici, erbari e libri vari, porzioni di immagini relative a numerose specie di flora e fauna la cui esistenza è minacciata o irrimediabilmente compromessa. Ciò che trovo estremamente interessante all’interno delle sue opere, oltre al tentativo di sottolineare un problema reale,  sta nella capacità di dare forma al vuoto. Siamo di fronte alla formalizzazione dell’assenza, alla riconfigurazione delle basi su cui poggiano gli equilibri naturali. Questa azione diretta e “chirurgica” è altresì emblematica dell’interazione costante tra l’uomo e la natura; nel processo di asportazione, di ricomposizione, Chironi evidenzia quanto a livello pratico avviene tutti i giorni nel mondo reale, dove il divario tra la biosfera e l’antroposfera è sempre più marcato e frammentato. 

 

Cristian Chironi, veduta dell'installazione 

Neha Choksi partecipa al progetto con il video Found Green, del 2006, un bellissimo lavoro che riflette sul fenomeno dell’urbanizzazione incontrollata e scellerata di Mumbai, una delle città più popolose al mondo. Qui il presente ha letteralmente rasato al suolo il passato, su di esso sono sorti nuovi quartieri, case e baracche. Là dove sorgeva un parco, ora scorre il traffico, lo stesso accade per quelli che un tempo erano spazi aperti, ora occupati da aree mercantili o da altro ancora. Municipal Corporation of Greater Bombay, questo si legge sulla mappa per la riqualificazione del verde urbano prevista per il ventennio 1981-2001, all’interno del distretto “E” di Mumbai. Una progettazione mai compiuta, che si è dovuta confrontare con la realtà di una megalopoli in continua espansione, all’interno della quale nulla può essere concesso allo spazio ricreativo, tanto meno al verde urbano. In Found Green (2006) un nostalgico ragazzo percorre i vicoli del quartiere, interagendo con presenze ormai scomparse o mai esistite. Nel suo cammino, come guidato da una presenza sovrannaturale, si fa portavoce di un messaggio che ha tutto il sapore di un rimprovero.

 

Neha Choksi, Found Green, 2006, video, 13'

Il lavoro di Andrea Nacciarriti è invece incentrato su quelle che Riccardo Bocca ha definitonavi della vergogna”. Un sistema oscuro e clandestino di occultamento di rifiuti pericolosi, e per questo “scomodi”, all’interno del Mar Mediterraneo, che da decenni vede protagonisti il potere politico, quello mafioso e l’indifferenza mediatica. Un fenomeno che Nacciarriti intende leggere al di là delle implicazioni ecologiche, riflettendo sul ruolo del linguaggio, dell’opinione pubblica che, assieme al mondo dei media, è troppo spesso colpevole di non guardare con occhi attenti a ciò che accade nel quotidiano. 

Nell’ambito di una ricerca sulla memoria del paesaggio, che ormai conduce da diversi anni, Giorgia Severi presenta invece il progetto Restoring the World. Il lavoro è nato in seguito all’incendio doloso che, nel luglio del 2012, ha visto tristemente protagonista la Riserva naturale dell’Ortazzo e Ortazzino, all’interno del Parco del Delta del Po, al Lido di Dante (Ravenna). Riflettendo su quel senso di responsabilità, che John Passmore ha argomentato all’interno del testo Man’s Responsability for Nature, pubblicato nel 1974, l’artista ha dato vita ad un lavoro articolato, composto da disegno, fotografia, video e scultura. Un progetto che nella sua complessità diventa un rito sciamanico, di purificazione, ma al tempo stesso un atto di vero e proprio “restauro” che chiede alla figura umana di riconnettersi con le forze più ancestrali della natura e della propria cultura. 

 

Andrea Nacciarriti, veduta dell'installazione

E’ inevitabile, l’uomo deve convivere con l’ambiente che lo circonda. L’inscindibilità di questo rapporto è alla base di buona parte della ricerca di Francesco Simeti, da tempo interessato alle dinamiche ambigue e contraddittorie che esistono tra queste due entità. Partendo da alcune illustrazioni, tratte principalmente dal testo Picturesque America, scritto nel 1872 da William Cullen Bryant, Simeti ha realizzato un lavoro ambientale nel quale il fascino sublime del paesaggio selvaggio si mescola con rimandi figurativi di un mondo “civilizzato”. Nella natura proposta dall’artista, ciò che predomina è il grigio, al quale siamo ormai assuefatti, dal quale “dipendiamo”. Qua e là nuvole dai toni acidi potrebbero fare pensare a qualcosa di molto pericoloso, ma a tratti il cielo sembra essere sereno e i colori spenti lasciano spazio a una natura iper colorata e inaspettatamente viva. Una lettura personale che, nonostante tutto, allude a possibili esiti positivi. 

Infine l’opera di Julius Von Bismarck che costituisce forse l’intervento più provocatorio. Il video Painting Landscape (Desert), documenta un’azione invasiva ai danni dell’ambiente. L’artista interviene fisicamente all’interno di alcune porzioni del paesaggio messicano, “cancellandole” nel vero senso della parola. Attraverso l’aiuto di alcuni figure locali, Julius Von Bismarck chiede di dipingere piante, cactus e rocce di bianco, per poi riportarli ai loro colori originali, mediante un secondo strato di pittura. 
Un intervento al limite del lecito, che suscitando riflessioni di natura morale, richiama alla mente alcuni interventi ambientali della Land Art americana, già protagonisti di un dibattito acceso e controverso in merito all’eticità della loro natura.

 

Giorgia Severi, veduta dell'installazione

 

 

1: Per una lettura completa dell’evoluzione delle filosofie della natura e dell’ambiente tra Ottocento e Novecento, si veda: Serenella Iovino, Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, Carocci Editore, 2004.
2: Si veda: Lucrezio, De Rerum Natura, trad. it. a cura di Olimpio Cescatti, Garzanti editore, 1975, p. 15 e seguenti.
3: Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere, in “Corriere della Sera”, I° febbraio 1975, Milano. 
4: Georges Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze, Bollati Boringhieri, p. 16.
5: Arte Povera. Interviste curate e raccolte da Giovanni Lista, Carte d’artisti (132), Abscondita, Milano, 2011, p.160.
6: Georges Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze, Bollati Boringhieri, p. 20.
7: Si veda: Arte Povera. Interviste curate e raccolte da Giovanni Lista, Carte d’artisti (132), Abscondita, Milano, 2011, p.160
8: Fonte: Ansa, del 4 novembre 2016: http://www.ansa.it/web/notizie/canali/energiaeambiente/clima/2014/11/02/onu-gas-serra-ai-massimi-da-800-mila-anni_6f15e6f1-2047-4312-9bbf-fc59ecd195f9.html
9: Gianfranco Marrone, Addio alla Natura, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2011
10: Nel 2003, Michelangelo Pistoletto scrive il manifesto del Terzo Paradiso. Ma che cos’è il Terzo Paradiso?: «È’ la fusione tra il primo e il secondo paradiso. Il primo è il paradiso in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, sviluppato dall’intelligenza umana attraverso un processo che ha raggiunto oggi proporzioni globalizzanti. Questo paradiso è fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodità artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altra forma di artificio. […] Il progetto del Terzo Paradiso, che si presenta sotto la forma riconfigurata dell’infinito, consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra […] significa il passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza.» (Michelangelo Pistoletto, Manifesto del Terzo Paradiso, 2003-2015).
11: Gilles Clément, L’Alternativa Ambiente, Quodlibet, 2015